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      Tutto l'anno in queste campagne continuo lavoro: le viti, il gelso, il frumento, il granturco, i bachi, le vacche, la vangatura e la messe, il bosco e l'orto danno una perenne vicenda di cure, che acuiscono l'intelligenza, la previdenza, la frugalità.
      Sui monti le condizioni della proprietà mutano con quelle della coltura: il coltivatore non può quasi mai dividere gli scarsi frutti con un padrone. Le ripide pendici, ridotte a faticose gradinate, sostenute con mura di sasso, sulle quali talvolta il contadino porta a spalle la poca terra che basta a fermare il piede di una vite, appena danno la stretta mercede della manuale fatica. La terra non ha quasi valore, se non come spazio su cui si esercita l'opera dell'uomo, ed il coltivatore è quasi sempre padrone della sua gleba od almeno livellario perpetuo. Mentre una parte della famiglia suda su quella gleba ed alleva all'amore di essa la povera prole, un'altra parte scende al piano ad esercitarvi qualche mestiere o si sparge trafficando oltre monti, per riportare alla famiglia i risparmi che le diano la forza di continuare la sua lotta colla natura e colla miseria. Indi una singolare mistura di costumi patriarcali e di esperienza moderna, la facilità di vivere in terra straniera e l'amore del suolo nativo, l'avidità del lucro e l'ospitale cordialità. In alcuni luoghi la proprietà appartiene al comune e persino al gran comune antico, suddiviso in parecchi moderni, come quelli che occupavano la Levantina, la Mesolcina, il distretto di Bormio.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume V - Parte seconda - L'Italia
di Elisée Reclus
Società Editrice Libraria Milano
1902 pagine 794

   





Levantina Mesolcina Bormio