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      A sedici ore cadde, senza più potersi riavere, in terra; dove patì molte convulsioni sino alle diciott'ore, nel qual punto allungò le gambe e le cosce intirizzate e fredde, sicché parea morto dal mezzo in giù; continuavano però di quando in quando i tremiti e le convulsioni nell'ali con qualche poca di vivezza nella testa, e così dimorò fino a vent'ore e tre quarti, e allora si morì, essendo scorse appunto cinqu'ore da quel momento nel qual fu ferito. Tosto che fu morto, essendo venuto a trovarmi il dottissimo e celebratissimo Signor Niccolò Stenone, curioso di osservare in quale stato si sarebbon trovate le viscere ed il sangue di quel piccione avvelenato, mi consigliò a farne pugnere, senz'altro indugio, un altro, come feci, con tre ferite nella stessa parte del petto dove fu punto il primo, ma però senza strappargli penne: e questo secondo piccione si morì in capo a mezz'ora, avendo intirizzate e distese le cosce e le gambe come il primo; onde rifeci subito l'esperienza in due altri, i quali, ancorché feriti tre volte per uno, non solo non morirono, ma non parve né meno che se ne sentissero male.
      Lasciai riposar lo scorpione tutta la notte, e la mattina seguente, alle quattordici ore, lo necessitai a pugnere un altro piccion grosso: prima che lo pugnesse, vidi nella cuspide del pungiglione una gocciolina minutissima di liquor bianco, la quale nel ferire entrò nella carne; e di più lo scorpione di sua spontanea volontà fece due altre ferite, ed il piccione, passato lo spazio d'un'ora, cominciò a soffrir certi moti convulsivi; quindi, come gli altri due, intirizzò le gambe e le cosce, e a diciott'ore si morì. Non morì già un altro, che fu ferito alle quindici ore della stessa mattina, e né meno morì il terzo, che fu ferito cinqu'ore dopo del secondo.


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Esperienze intorno alla generazione degl'insetti
di Francesco Redi
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Signor Niccolò Stenone