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      V.
     
      - Ha fatto male, mi disse l'accorto mio cicerone, a non accettare l'invito degli sposi. Si sarebbe spassato davvero. Le prime accoglienze che la suocera suol fare alla nuora son tali da piacer anche ad un poeta.
      - Dice davvero?
      - Certamente. Ecco come si fanno le cose. Quando la brigata giunge alla casa dello sposo, trova chiusa la porta; la nuora picchia tre volte; al terzo picchio si apre, e in sulla soglia si affaccia la suocera, burbera nel volto, colla mestola appesa alla cintura, e comincia questo dialogo con la nuora:
      - Che cosa volete?
      - Entrare in vostra casa, e obbedirvi in quanto vi piaccia di comandarmi.
      - Eh! Voi altre ragazze leggiere e capricciose ben altro avete in capo che l'assetto della casa.
      - Lasciatemi provare e vedrete.
      - Ma qui si tratta di pascolare e mugnere gli armenti.
      - Ed io pascolerò e mugnerò gli armenti.
      - Di tagliare il fieno e lavorare i campi.
      - Ed io taglierò il fieno e lavorerò i campi.
      - Di alzarsi la prima e coricarsi l'ultima, perchè la vecchia suocera possa alzarsi l'ultima e coricarsi la prima.
      - Ed io farò anche questo.
      - Ma voi verrete meno a tante fatiche.
      - Iddio e vostro figlio mi aiuteranno.
      A queste affettuose parole la suocera smette l'aria sua burbera, e stringendosi amorevolmente fra le braccia la nuora:
      - Vieni, figlia mia, le dice, vieni, e possa tu non mai scordarti delle fatte promesse.
      Poi, levandosi la mestola dalla cintura, la consegna alla sposa, che da quell'istante fa gli onori della casa, e invita tutta la compagnia a prender posto al banchetto di nozze; nel quale v'ha ciò di curioso che, mentre ciascun convitato ha la sua posata, lo sposo e la sposa, seduti l'uno accanto all'altro, mangiano entrambi nello stesso piatto, e bevono allo stesso bicchiere, quasi a significare che da quell'ora in poi vi è tra loro perfetta comunanza di vita.


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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino
1864 pagine 263