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      Accompagnandomi intorno alla Badìa mi ricordavano gli antichi monaci dissodatori d'incolti terreni. Anche i Rosminiani convertirono ermi luoghi in ameni pensili giardini, ricreati da frequenti zampilli di acque ed allietati da rose, mirti ed allori, da platani, cedri e quercie, e da vigneti, che sospendono i loro grappoli fra l'edera di negre roccie, ed attestano il vigore della vita innanzi a caverne, crani e croci.
     
     
      X.
     
      La Bell'Alda.
     
      Il prete Clemente dai ridenti giardini riconducendomi ai malinconici corridoi della Badìa, mi trasse al vecchio coro dei monaci benedettini, ora squallido e muto, e su d'una parete mi additò rozzamente dipinta la fondazione del monastero secondo la leggenda popolare. Dipoi, passando per l'andito, dove entro una cappella ammirasi Maria bellamente dipinta su tavola del Macrino d'Alba, mi condusse alle rovine dell'antica grandiosa dimora dei trecento monaci. Alla splendidezza dell'opulenta Badìa succedette lo squallore e il silenzio della morte tra frantumi di colonne, d'archi acuti e di capitelli. Accresce orridezza alle confuse macerie verso tramontana un profondo precipizio, innanzi a cui il prete Clemente mi disse:
      - Qui si racconta una storia di lagrime. Leggiadra e desiderata fanciulla, detta Bell'Alda, per sottrarsi alle insidie d'un seduttore che la inseguiva, invocò l'aiuto di Maria, e leggiera come piuma di colomba spiccando un salto da questo vertice, illesa toccò il fondo dell'irto precipizio; ma Alda invanitasi di prova così felice, ne fece un secondo con diversa fortuna: restò morta giù negli spaventosi dirupi!


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La Dora
Canti e prose
di Giuseppe Regaldi
Tipogr. Sebastiano Franco Torino
1864 pagine 263

   





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