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      Essi trovarono Attila accampato dove il lento e tortuoso Mincio esce dal grembo del gran padre Benaco, e la cavalleria Scitica calpestava impunemente i sacri poderi di Catullo e di Virgilio. Ivi si fu dove Attila ricevette gli oratori Romani entro la tenda, e gli ascoltò con sorprendente rispetto. La divina facondia di Leone, il maestoso portamento, e que’ suoi abiti sacerdotali inspirarono nel barbaro re, ch’erasi meritato il soprannome di Flagello di Dio, un sentimento tale di venerazione per l’augusto Pontefice, che la liberazione d’Italia fu sul fatto decisa.
      Un avvenimento sì grande poteva giustamente meritare l’intervento del cielo, che facesse discendere li due apostoli Pietro e Paolo a minacciare questo terribile conquistatore d’una morte subitanea, se rigettato avesse le preghiere del loro successore. E appunto sotto queste forme venne rappresentata una tale discesa dal pennello dell’Urbinate, dallo scalpello dell’Algardi, e dalle penne di più scrittori di cose ecclesiastiche. Nondimeno prima di lasciar l’Italia minacciò ancora una volta d’invadere Roma, e di ritornarvi in una maniera ancor più terribile dell’altra. Per buona fortuna la morte il colse, e nell’anno 453 vide l’Italia dissipato l’impero degli Unni.
      Pure non potè essa rimettersi per anco dalle sue perdite, che anzi un’improvvisa irruzione di nuovi barbari aggravò viemmaggiormente i suoi guai, ed in particolare quelli di Roma. Il terribile Genserico re de’ Vandali alla testa di uomini selvaggi e crudeli, dopo di avere, per dir così, in un istante conquistato le sette fertili provincie che si estendono dal Tanger sino a Tripoli, e messa a guasto l’Africa, meditò un genere di guerra che dovesse aprirgli l’entrata in tutte le contrade marittime.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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