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      Questa Festa era infine la festa di tutti, ed ogni cittadino portava impressa nel volto una porzione del diletto comune; e chi non v’interveniva, chiedeva almeno con ansietà le nuove agli altri, e se ne facea narrare gli accidenti. La nobiltà stessa, che pur ai nostri dì affettava di sdegnare la popolarità di tai giuochi, e, per mostrarsi superiore alla plebe, riguardava lo spettacolo come un decrepito avanzo di ridicola barbarie, non poteva alla fin fine rimanere indifferente. Stupiva di sè stessa in sentir, suo malgrado, un occulto diletto, che attaccavala a que’ giuochi.
      Terminava questa Festa una superba macchina di fuochi d’artifìcio, che pur destava i popolari viva, malgrado allo stravagante costume di accenderla a chiaro giorno. Anticamente la ragione ne fu per lasciar il tempo necessario alla nobiltà di apparecchiarsi ad un ballo, che la medesima sera il Doge dava nel suo palazzo. Questo ballo non ebbe più luogo in appresso, ma non per tanto non si cangiò l’ora de’ fuochi, poichè si tiene il più che si può alle abitudini. Il sole, è vero, scemava il loro splendore, pure non distruggeva il loro effetto sulle anime di un popolo sempre disposto ad applaudire con trasporto a tutto ciò che facevasi in nome della patria, e che aveva qualche legame colla gloria della nazione. Esso gioiva perchè era felice; abbandonavasi ad una dolce e vera ilarità, perchè aveva cittadino il cuore e lo spirito, e perchè l’amor patrio e que’ sentimenti che da esso provengono, sono una fonte inesausta di piacere, di grandezza e di prosperità.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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