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      Avrebbero dovuto disprezzare questo accidente, come frutto di vivacità giovanile; ma tutto all’opposto, furono sì goffi da farne affare di stato. Presero le armi, aizzarono i Trevigiani a secondare il loro giusto risentimento, mostrando che coll’essersi turbati audacemente i loro spettacoli, l’insulto era fatto ad essi medesimi. La vana speranza di mortificare i Veneziani armò le due popolazioni, che congiungendosi insieme vennero ad attaccare la torre della Bebe posta alle foci dell’Adige. Era questa il più forte antemurale contro le incursioni degli Adriesi, de’ Ferraresi e de’ Padovani. Ivi si batterono con valore d’ambe le parti, e la sorte infine si dichiarò pe’ Veneziani. Un turbine improvviso uscito dalla parte del mare ne fece gonfiare le onde in modo, che queste andarono ad allagare il campo nemico, che tosto andò tutto a rumore. Durante lo scompiglio, arriva la flottiglia Veneziana, attacca e Padovani e Trevigiani, già dispersi e avviliti: molti nell’atto di fuggire vanno incontro alla morte, ed il resto è fatto prigioniero. Armi, bagagli, più di due mila carri, cavalli, buoi, macchine da assedio, tutto divien preda del vincitore. I Padovani chiesero tosto la pace; il Doge vi acconsentì, ma a condizione umiliante. Egli volle prima, che fossero trascelti quindici tra giovinastri, che nella Festa di Treviso avevano più ardentemente osato insultar alla bandiera di S. Marco, e che venissero tradotti a Venezia; indi per lo riscatto de’ prigionieri chiese il tributo di due polli bianchi per ciascheduno.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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