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      Secondariamente non è credibile, che gente senza educazione, senza principj avesse voluto aver parte nelle cose di governo. Que’ che sono più di noi prossimi alla natura, hanno una coscienza più eloquente della nostra, ed essendo meno accecati dall’amor proprio, essa fa che sentano meglio i proprj interessi, coll’affidare ai saggi e agl’istrutti le più delicate faccende, anzi che ostinarsi e dirigerle da per loro. Dall’altro canto uomini che avevano abbandonato la patria per salvarsi nelle lagune, nemici giurati della tirannia, e ansiosi del loro ben essere, dovettero pensare non esservi cosa più opportuna per mantenerselo, quanto il cercar co’ loro lumi e colla loro sana condotta di entrare alla testa degli affari, vo’ dir del Governo. Ed ecco come mercè un concerto comune ancor che tacito, si venne a dar forma ad un’Assemblea, non già popolare, ma giudiziosamente scelta. Il popolo per altro avea diritto di nominare il Doge, di sancire od approvare colla voce gli eletti a quest’Assemblea, ed anche gli affari proposti; poteva inoltre proporne di nuovi. Ma a que’ tempi i Dogi avevano una grande autorità; dipendeva da loro il convocare l’Assemblea, e spesso spesso deliberavano da per loro sugli affari i più gravi dello Stato; quando nel 1032 il Doge Domenico Flabanico concepì un’idea della più fina politica, e di somma utilità alla Repubblica. Questa si fu di non voler più deliberare da sè solo di cosa alcuna risguardante lo Stato, senza il consiglio de’ più saggi ed assennati cittadini.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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