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      Di qua nacque una sempre maggior alterigia nelle teste degli ambiziosi. Chiunque era ricco cominciò ad aspirare alle dignità dello Stato, a voler entrare nel Maggior Consiglio, ed a corrompere i voti degli Elettori. Questi o sedotti da vile interesse, o lusingati dalla mira di farsi molti aderenti in grazia de’ quali potessero alla lor volta ottenere le cariche le più distinte, li ammettevano, quantunque non avessero prodotto alcun titolo di servigi resi allo Stato, nè date prove delle loro virtù, nè nobilitate le loro fortune col corredo de’ buoni costumi. D’altra parte molti nobili antichi, fatti forti nella loro nascita, pretendevano per questa sola, ancorchè per nulla benemeriti della Patria, di conservare la loro autorità, e di esser essi soli ammessi al gran Consiglio. Quindi gl’intrighi, i maneggi, gli artificj adoperati a tale oggetto divennero sorgente di civili discordie. E come il numero degli esclusi esser dovea molto superiore di quello degli eletti, così accrescendosi la massa de’ malcontenti, fatta questa più ardita e più insolente, coglieva ogni occasione per tumultuare ed inquietare. Se per esempio un Generale d’armata ritornava, anche senza sua colpa, con avverso successo dalla guerra, egli veniva accolto con fischiate, e poco men che con sassate. Un Doge stesso fu per prodigio salvato da un’insurrezione, essendo stato costretto di proporre doppia imposta di macina, onde supplire alle grandiose spese delle guerre che si succedevano. Queste violenze, questi disordini crebbero a tale, che sotto il Ducato di Giovanni Dandolo fu stabilito d’introdurre qualche nuova riforma nelle Elezioni.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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