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      Romolo nella sua costituzione volle che ciascun patrizio si facesse Patrono d’un popolare. Questo legislatore di fuorusciti conosceva troppo bene che il patriziato poteva assai presto perire, se non istabilivasi una specie di confederazione col popolo, la cui mercè questo, sotto il nome di Cliente, diveniva sempre l’istrumento della potenza del padrone.
      Nel tempo in cui il dominio feudale esercitava la sua tirannia, il debole credeva di trovare un appoggio dedicandosi spontaneamente a colui, che il faceva tremare; egli cercava un asilo presso il suo proprio assassino, onde ritardar, s’era possibile, la sua perdita. Nè poteva chiamarsi sicuro, se non che consacrando il suo braccio e tutto sè stesso a que’ delitti, che gli venivano comandati dal suo patrono o protettore.
      Da per tutto finalmente, tranne Venezia, il nome di protettore, di cliente o di devoto non presentò mai allo spirito se non da una parte l’idea del potere sempre disposto ad abusarne, e dall’altra di una schiavitù vergognosa, che sbandisce ogni sentimento nobile e generoso. Quì al contrario tale alleanza non traeva origine da veruna legge; niuna idea di supremazia, di feudalità, di servitù accompagnava questo legame. Esso nasceva dall’umanità, dalla beneficenza, dal sentimento del comun interesse, ch’è quello che forma il nerbo dello Stato e la prosperità di ciascun privato. Molto prima che i militari abbandonati con entusiasmo allo spirito di cavalleria immaginassero certi fratellevoli nodi sotto il titolo di Fratelli d’armi, gli abitanti di Venezia n’avean dato l’esempio con una origine più degna della natura e della società; giacchè la consuetudine appo noi non nacque tra gli orrori delle battaglie, ed i nostri doveri non erano tali da sacrificare la vita in crudeli stragi, che bene spesso la ragione e la giustizia condannano.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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