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      Indi concluse, che i saggi comandi del Senato a lui diretti, erano di starsene sulla difesa per conservare alla Repubblica l’armata e gli Stati, e che per ciò conveniva non uscire dal porto, lasciar vanamente gridare il Doria, e intanto adempiere ciascuno dal suo canto il proprio dovere, prestando obbedienza a chi sovrastava per grado. Punsero al sommo queste ultime parole e provveditori e sopracomiti, i quali risposero arditamente; accusarono il Pisani di abusare della sua autorità, e sostennero ch’essendo egli solo di parere di non attaccare, dovea cedere alla comun brama e alla volontà universale. Non pertanto vistolo irremovibile, si diedero ad insultarlo e a rimproverargli, che non già per obbedienza al Senato, o perchè credesse vero l’esposto, ma per viltà e condardìa volea scansare l’attacco. Lo sdegno divampò nel Pisani a tale scongiuro; nè potendo soffrire l’infame sospetto contro la sua virtù, e considerando d’altronde, che per legge egli solo nonpoteva resistere all’altrui concorde volere, s’alza furiosamente dal seggio, fa dar il segnale della battaglia, comanda che ciascuno il segua, e disposti in ordine i navigli, si slancia il primo contro il nemico. Mira la galera del comandante Doria; l’investe colla massima forza; uccide il generale e s’impadronisce del vascello. Le due flotte nemiche si battono con reciproco valore da rendere la vittoria incerta, benchè paja un po’ preponderare anche questa volta in favore de’ Veneziani. I Genovesi cominciano a poco a poco a ritirarsi in qualche disordine; i nostri gl’inseguono con quell’ardore, che la vittoria inspira, quand’ecco improvvisamente sbucar dalla baia una flotta nascosta, che gettasi su quella del Pisani, la rompe ne’ fianchi, e colla sua grande superiorità rende vani tutti gli sforzi del comandante.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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