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      Ma questi intrepido non volle mai che la sua armata si ritirasse, dando egli, benchè il più esposto, l’esempio agli altri di un’eroica fermezza. Il presidio di Chioggia, vedendo che nulla bastava a fare che i Veneziani si rimuovessero dall’assedio, perduto il coraggio, e sempre più travagliato dalla fame, e disanimato dal pericolo, si mise in tale disperazione da cercare unanimamente la fuga e di salvarsi sopra piccole barche. Il Zen a tempo se ne accorge, impedisce l’evasione, s’impadronisce di cinquanta di quelle barche, uccide una gran quantità di que’ fuggiaschi, molti ne fa prigionieri, e solo uno scarso numero può salvarsi rientrando in Chioggia. Disperati della loro situazione, studiano altro mezzo di salvar la vita. Spediscono deputati a Carlo Zen per offerirgli oro, argento, armi, la città stessa, purchè vengano rimandati liberi ai loro nazionali. Il Zeno, sdegnato altamente di questo vile mezzo di arrendersi, lo rigetta; nondimeno ne informa il Principe, il quale non men di lui sentì quanto sarebbe stato disonorevole il lasciare partire liberi que’ nemici implacabili de’ Veneziani. Si giurò anzi di non voler giammai accettare veruna condizione che fosse proposta da’ Genovesi. Questi alla fine stimolati dalla fame e mancanti di lena, giacchè la maggior parte di loro era omai ridotta ad inghiottir le correggie degli scudi mollificate e cotte nell’acqua bollente, dovettero spedire ambasciatori al Doge per tentare colle preghiere e le lagrime di ottenere la vita, ma non già di liberarli per allora della prigionia.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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