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      Che che ne sia, i due eserciti nemici si erano avvicinati a tal punto, che il d’Alviano sentitosi svegliare in sè medesimo quel suo bollente valor militare, e vedutosi in luogo che gli parve non solo opportuno, ma necessario il venire a battaglia, deliberò tosto di far marciare innanzi la sua infanteria; e seguito da alcuni pezzi di artiglieria, attaccò i nemici con tal furore, che li costrinse per quel momento a piegarsi. Ma l’armata francese, ricevuto un rinforzo, e vedendosi in presenza del proprio re, ripigliò ben presto animo e forza. Combattevasi molto ferocemente, e con somma virtù d’ambe le parti; ma in fine dopo tre ore circa di continua strage, danneggiati grandemente i Veneziani dalla cavalleria nemica, e non potendo i loro fanti fermare il piede sopra un terreno dalla gran pioggia divenuto lubrico, e soprattuto mancando loro i soccorsi, cominciarono a combattere con grande svantaggio. Nondimeno, resistendo con rara virtù (tutto che avessero perduta ogni speranza di vincere) più per la gloria che per la salute, resero per alquanto spazio di tempo dubbia la vittoria de’ Francesi. Ultimamente poi, perdute prima le forze che il valore, senza mostrar le spalle agl’inimici, come dice il Guicciardini, lasciarono sul luogo un gran numero di morti. Per la qual resistenza tanto valorosa di una parte sola dell’esercito, fu opinione di molti, che se il Pitigliano foss’entrato con i suoi nella battaglia, avrebbero i Veneziani ottenuta la vittoria. Invece vi perirono, a quanto dicesi, ottomila uomini, e il rimanente della truppa fu messo in piena fuga.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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