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      Poco infatti stettero a spiegare il vessillo bianco su quelle mura tutte traforate. Cessarono tosto le ostilità; segnossi il trattato per la resa, ed i Veneziani entrarono in Napoli di Romanìa, che trovarono molto bene approvvigionata di cannoni e d’altro, qual conveniasi alla capitale della Morea, ed al soggiorno dei bascià. Mustafà, che n’avea avuto sin allora il comando, e Alessandro suo fratello, che per alcun tempo era stato bascià della Morea, e che l’anno prima avea ceduta ai Veneziani la fortezza di Chielafà, non vollero più rimanere ne’ paesi ottomani; troppo sicuri di non poter evitare il fulmine che stava per iscoccare sulle loro teste. Chiesero dunque entrambi di porsi sotto la protezione della repubblica, e d’imbarcarsi colle loro famiglie sopra i nostri vascelli per trasferirsi a Venezia, dove contavano di finire i loro giorni. Il Morosini accordò loro volentieri tale inchiesta, particolarmente parendogli un bel vanto, che l’orgoglioso sultano vedesse i suoi stessi comandanti sottrarsi alla durezza del dispotismo, e darsi in braccio al nemico colla sicurezza di godervi una felicità non mai più provata. Piacquegli anche la cosa, perchè l’esempio potea commuovere altri comandanti, e quindi facilitargli l’acquisto di altre piazze.
      All’annunzio di tutti questi prosperi avvenimenti, non si tardò a Venezia a rendere all’Ente Supremo i consueti ringraziamenti. Indi per più giorni in tutte le contrade della città si fecero spettacoli, ed altre dimostrazioni di gioja. Il Senato poi, per ricompensare il merito del general comandante, creò cavalier di San Marco il suo nipote Pietro Morosini, che già da molto tempo serviva nelle armate, e ch’era allora tenente generale.


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Origine delle feste veneziane
(6 volumi)
di Giustina Renier Michiel
Tipografia Lampato Milano
1829 pagine 712

   





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