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      La quale, per essere italiana e a tutto beneficio degli italiani, non era per questo meno estranea ai piú di loro e non implicava, da parte loro, minor rinunciatarismo morale. Non che Pisacane lo dicesse mai cosí chiaro; ma s'intende benissimo ch'egli avrebbe le mille volte preferito a una rapida realizzazione integrale dell'unità d'Italia per opera e sotto il controllo d'uno dei suoi Principi, il conseguimento d'un resultato provvisoriamente parziale per via di schietta rivoluzione.
      Povero dottrinario! Andava interrogando la storia d'Italia per rendersi conto se sarebbe mai stato possibile richiedere agli italiani sollevati di far la loro guerra, la guerra di popolo, allo straniero e al dispotismo, e bastarono Plombières e una brillante, corta campagna di eserciti stanziali, calcolata per dilatare il Piemonte nella valle del Po e la influenza francese nella Penisola, a determinare la formazione fulminea d'un regno unito dell'Italia centrale e settentrionale. Andava farneticando della imprescindibile necessità preventiva di guadagnare alla causa del rinnovamento italiano il consenso attivo delle maggioranze, e il Mezzogiorno cadde di botto in mano di Garibaldi, tra la suprema indifferenza di novanta su cento dei siciliani, dei calabresi, dei napoletani!
      Improvvisazione? Fortuna? Eppure l'Italia sotto il segno sabaudo è viva, è cresciuta, e s'afforza. D'accordo: ma quante volte e da quanti, dal '60 in poi, non s'è avuto ragione di deplorare che la gran massa degli italiani, anziché contribuire a formarla, l'abbian soltanto lasciata fare!


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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