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      Il sig. Pisacane sembrò non capisse le mie parole e mi disse che egli e la signora avevano agito con tutta riflessione. Non mi restò che farlo uscire dalla mia presenza»(12).
     
      Terminavano cosí per Pisacane, tre mesi dopo la sua partenza da Napoli, i piú grossi fastidi di natura giudiziaria. S'intensificavano invece le preoccupazioni economiche, e l'avvenire si faceva sempre piú buio per questo spostato provinciale trentenne, sbalzato all'improvviso, con poche conoscenze, in un mondo affatto nuovo. Fu un periodo dolorosissimo, nella sterminata metropoli, eppure, si può supporlo anche se i documenti tacciono, decisivo quanto al suo orientamento spirituale.
      Gran bella cosa viaggiare all'estero, quando il rango sociale, le relazioni o il censo apron tutte le porte; gran conforto, per gli esuli politici, per miserabili che siano, vedersi cordialmente accolti nelle fervide comunità di fuorusciti italiani che pullulano per ogni dove. Ma che vuol mai questo nobile decaduto, digiuno di politica, fuggiasco per banali motivi di cuore, senz'altra esperienza al suo attivo che quella, trilustre, d'aver servito il Borbone? S'imaginano le diffidenze, i sospetti e le chiacchiere. Di gran giovamento riuscí comunque per Pisacane, che s'apprestava a un nuovo e questa volta definitivo e impegnativo tuffo nell'ambiente della emigrazione politica, un lusinghiero biglietto di presentazione fornitogli dal Rossetti pel generale Pepe, che era tra i maggiorenti della colonia italiana a Parigi(13). In casa di Pepe capitava non solamente il fior fiore dell'elemento emigrato; ma tra le personalità francesi un Lamennais, un Arago, un Béranger, una Sand, un Constant, un Lamartine.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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