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      Si pensi alla vita industriale inglese, ai paurosi problemi che i grandi concentramenti operai facevano affacciare: si pensi a Parigi, al rigoglio di studi sociali comparsi fra il '30 e il '48, come inevitabile effetto della precipitosa trasformazione subita in quegli anni dalla organizzazione del lavoro. Fourier e Saint Simon, Blanqui e Proudhon, Blanc e Cabet: critiche sempre piú aspre e scientifiche alla civiltà borghese, prime linee d'una sempre meno romantica ricostruzione futura, appassionate difese, e requisitorie, e polemiche. Né restavano, queste ultime, sepolte nei libri, ma — diffuse e semplificate da innumerevoli quotidiani e periodici — le assorbiva avidamente, bene o male comprese non importa, il mondo operaio, traverso il filtro di un piccolo esercito di organizzatori e politicanti, abili nel cavarne motivi e formole di propaganda e d'azione.
      I borghesi intellettuali che a Parigi nel '47 meditavano e preparavano una seconda e definitiva rivoluzione di luglio avevano programmi assai radicali in politica, ma esigevano intatto, nelle sue grandi linee, l'assetto sociale; riformatori sociali e operai piú evoluti scavalcavano invece a piè pari la questione politica, ché a loro importava rifare le basi, non la facciata dell'edificio. Non d'altro si parlava in certi quartieri e in certi circoli, non d'altro si ragionava su certi giornali(15). Dunque unità e indipendenza e bilanci in pareggio non erano tutto per una nazione? Non in queste formole era l'ubi consistam del progresso civile?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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