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      È un desiderio assurdo; pure farà di tutto per realizzarlo: presenta domanda gerarchica, poi, due febbraio, ne scrive al Durando, suo ex-generale, quello che per aver ricevuto il suo rapporto del maggio '48 conosce per prova la sua idoneità all'ufficio richiesto. Trincerista, ferito di guerra, Pisacane non ha avuto né promozioni né decorazioni; perché non compensarlo adesso accogliendo, previo esame, la sua domanda? Dica una sola parola il Durando, e sarà cosa fatta. «Non ho veruna conoscenza, ella solo Sig. generale, potrebbe essermi di protezione e di appoggio».
      S'ignorano la risposta del generale e l'esito della domanda; ma se, come sembra, e l'una e l'altro non furon tali da soddisfar Pisacane, questa fu veramente fortuna per lui. Ché non certo di gloria avrebbe potuto coprirsi nella imminente campagna, militando in quella Divisione Lombarda cui, com'è noto, si volle da molti addossare la colpa della sconfitta; e tanto meno se lo avessero accolto nello Stato Maggiore divisionale, sotto quell'infelice suo condottiero, il Ramorino, al quale per un bisogno irresistibile in Italia, quando le cose volgono a male, fu riservata l'ingrata funzione di capro espiatorio, come se le deficienze da lui tragicamente scontate non avessero coinvolto ben altre e piú alte e piú generali responsabilità.
      Infastidito, deluso, Pisacane continua la serie dei suoi colpi di testa: 26 febbraio, richiede e subito ottiene dal Ministero un permesso, al quale, un mese dopo, seguirà la dispensa dal servizio(33). «Mio caro Filippo — scriverà nel settembre al fratello — ... La risoluzione di lasciare il Piemonte la feci appena la sua politica guerriera principiò a vacillare, tentò l'invasione in Toscana ed io appena vidi solo il dubbio di potermi battere per conto di un individuo contro un popolo, sterzai subito e da Roma inviai le mie dimissioni». Affermazione leggermente inesatta: ché il gabinetto Gioberti cadde, proprio sulla questione dell'intervento in Toscana, il 21 febbraio, e Pisacane non firmò la domanda di permesso che cinque giorni piú tardi.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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