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      Ad altri il tenere alto e superbo il capo tra i romani «redenti»: egli non osa neanche chiamarli a raccolta. Trascorre via frettoloso agli uffici, il volto chino, timido innanzi ai monumenti di Roma. Non mai come allora ha cosí fortemente avvertito la presenza di Dio: piú tardi, sfidando i sarcasmi dei piú tra i seguaci, vorrà perfino che si riapran le chiese, lui che è contro la Chiesa; tanto gli sembra che tutto, a Roma, abbia una ragione profonda.
      Il settario, superata la setta, lavora adesso per tutti, nel nome di tutti.
     
      Verso il 10 di marzo, a Mazzini che, pur semplice deputato, è già fin d'allora regolatore supremo delle cose della repubblica, si presenta Pisacane, giunto con Enrichetta, da Genova, l'8 del mese.(35) «Mi si presentava senza commendatizie; — raccontò poi, nei Ricordi, Mazzini — m'era ignoto di nome, benché io ricordassi di averlo alla sfuggita veduto un anno prima..., io non sapeva né gli studî teorici e pratici, né la ferita di palla Austriaca che lo aveva tenuto per trenta giorni inchiodato in un letto, né i principî politici serbati inconcussi attraverso l'esilio e la povertà, né altro di lui. Ma bastò un'ora di colloquio perché l'anime nostre s'affratellassero, e perch'io indovinassi in lui il tipo di ciò che dovrebb'essere il militare italiano, l'uomo nel quale la scienza, raccolta con lunghi studî ed amore, non aveva addormentato, creando il pedante, la potenza d'intuizione e il genio, sí raro a trovarsi, dell'insurrezione».
      I due affrontano subito il problema fondamentale della repubblica: la situazione militare.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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