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      La vittoria darebbe la libertà all'Italia: libertà in tutti i sensi.(37)
      Ma l'attuazione dell'audacissimo piano è resa impossibile non soltanto dalla contrarietà di Mazzini e della maggioranza dei consultori di Roma, fedeli interpreti delle aspirazioni e delle opinioni prevalenti tra i cittadini pensanti, sibbene anche dalla riluttanza notoria e ripetutamente espressa dei governi di Venezia e Toscana a compromettersi facendo apertamente causa comune con gli usurpatori del Papa. A Pisacane, pure imprecante contro il municipalismo, eterna piaga d'Italia, è giuocoforza inchinarsi.
      Cosicché non appena il Piemonte denuncia l'armistizio, Roma proclama l'intervento; il 20 marzo Carlo Alberto si muove, il giorno appresso diecimila uomini affidati al comando di Mezzacapo lasciano il territorio della repubblica per raggiungere il Po.(38) Ma il 23 marzo Novara, sconvolgendo le speranze italiane, conferma appieno le previsioni di Pisacane. Mezzacapo ripiega, e a Roma tutti comprendono che ormai non piú di successi della repubblica si tratta e neanche della sua stessa salvezza, ma soltanto di come piú romanamente morire.
     
      A mali estremi estremi rimedi: il 29 di marzo l'Assemblea procede alla nomina del Triumvirato; ormai Mazzini è l'arbitro riconosciuto delle sorti romane. Ma il mese d'aprile, in Italia, è tutto un rovinío: caduta di Brescia, tramonto della libertà siciliana, rivolta e capitolazione di Genova, rovesciamento del governo toscano, calata austriaca. Venezia sola continua a lottare.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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