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      Non resulta che egli se ne occupasse personalmente, ma certo ne seguiva lo sviluppo e ne ricavò suggestioni per i suoi scritti (nei Saggi ad esempio additò qual sintomo «del nuovo giorno... la tendenza delle moltitudini all'associazione»). È noto infatti che le relazioni fra l'ambiente democratico repubblicano di Genova e la locale classe operaia si mantenevano assai strette e cordiali.
      Povero egli stesso e costretto a un mal retribuito lavoro, la dura sorte del proletariato piemontese non poteva non impressionarlo dolorosamente: salari di fame e per alcune industrie notevolmente ribassati in confronto al decennio precedente; né sempre corrisposti interamente in moneta, ma con un supposto equivalente in natura, a tutto vantaggio degl'imprenditori; orari di lavoro abbrutenti, inesistente legislazione protettiva del lavoro(115). Le agitazioni e i disordini si succedevano senza posa.
      Nel '49 erano i vellutai di Zoagli che, richiedendo aumenti di salario e cessazione appunto del pagamento dei salari in natura, davan grossi fastidi alle autorità; sui primi di maggio del '50 erano i vignaiuoli di Cassolo Lomellina che clamorosamente protestavano contro i licenziamenti arbitrari: seguivano incendi, invio di truppe, arresti; nel '51 la polizia genovese segnalava ufficialmente la «diffusione di massime socialistiche» a mezzo delle associazioni in quella classe operaia; nell'ottobre '55, a Torino, gli operai sarti si mettevano in isciopero; nel gennaio '56, in tutto il Piemonte, si tennero foltissime adunate popolari per protestar contro le tasse e sollecitare l'istituzione della famosa imposta unica progressiva sul reddito.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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