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      «...Amici, concretiamo perdio!... Vogliamo lasciare a mezzo, a furia di discussioni, un duello a morte che abbiamo, con grande apparato di frasi e minaccie, intimato all'Austria e ai nostri padroni?» È vero, essi non condannavano a priori l'azione, anzi, a sentirli, non desideravano altro; ma le condizioni che ponevano alla loro collaborazione, le garanzie che esigevano erano tali e tante che con ciò solo rivelavano appieno la loro intima sfiducia e un crescente pessimismo. Mazzini ora li punge e li esalta, ora pretende di ignorarli e li taccia di imbelli e «neutrali», ora prorompe in disperate catastrofiche previsioni sull'avvenire delle cose italiane affidate a uomini di cosí fiacca tempra; salvo poi a riaccostarli, a lusingarli, a sottoporre loro un «ultimo» piano, una «ultima base» di intesa. Il perpetuo sfogo contro di loro fa per altro trasparire la convinzione radicata in lui che quel gruppetto di dissidenti, ove avesse davvero voluto, avrebbe fatto incommensurabilmente piú e meglio di mille altri rumorosissimi omuncoli che gli si tenevan d'intorno, invariabilmente disposti, loro, ad agire.
      Pisacane che fa? Medici è morto? E Cosenz dov'è?(131) E Mezzacapo e Gorini e Masi? Faccian di tutto, i fedeli, per smuoverli, pungendoli, «ma in modo amorevole di chi stima». «In tutta Italia v'è un certo fermento, e riescirebbe decisivo, se... i militari di Genova e Torino tornassero nei sensi; ma questo non sarà». Povero Mazzini! «Sono nauseato — scrive una volta — ... La classe media, la cospirazione ufficiale, è pessima.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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