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      Nell'affettuoso cenno piú tardi dedicato all'amico caduto, Mazzini francamente lo ammise: «Da Genova... ei mantenne corrispondenza con me: corrispondenza liberamente fraterna, come dovrebbe correre fra uomini che sentono la propria dignità, e onorano anzitutto il Vero... E noi dissentivamo su parecchi punti; sulle idee religiose...; sul cosí detto socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sètte francesi erano ad uno ad uno da lui respinti; e sulla vasta idea sociale... io andava forse piú in là di lui».(139)
      «Questione di parole»? Nella Guerra combattuta, è vero, l'argomento non era stato gran che approfondito; ma durante il soggiorno di Genova, né Mazzini poteva ignorarlo, l'evoluzione di Pisacane a sinistra era stata continua e decisa, come si rileva dalle sue lettere. Giustissimamente osservava Mazzini esser il socialismo espressione elastica sotto cui poteva celarsi, e si celò e confuse stranamente in quegli anni, la merce piú varia; ma era gratuito cacciar cosí nel folto mazzo degli pseudo-socialisti Pisacane, che alla palingenesi sociale rivoluzionariamente imposta dalle classi lavoratrici ai ceti privilegiati credeva davvero.
      «Sulla vasta idea sociale io andava piú in là di lui». Era esatto? Non troppo: Mazzini, si sa, era un riformista temperato; pur sostenendo la necessità di un profondo mutamento nell'assetto sociale, non lo concepiva altrimenti che come frutto d'un lento processo evoluzionista imperniato sul cooperativismo operaio e sulla diffusione del credito; secondo lui, non si trattava tanto di distruggere i fondamenti della società borghese quanto di soppiantarli in progresso di tempo, creando e incoraggiando la formazione di nuovi aggregati sociali, di nuove forme di proprietà che in un futuro piú o meno remoto sarebbero state le sole ad avere esistenza legale.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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