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      Egli contava sull'appoggio della borghesia per l'emancipazione dei lavoratori, non aveva idee intorno al problema del proletariato agricolo, non considerava le conseguenze sociali della nascente grande industria: quando diceva lavoratori intendeva artigiani; protestava contro ogni sistema che portasse attentato alla libertà individuale.(140)
      Pisacane — basta per questo leggere la Guerra combattuta — vedeva le cose in modo radicalmente diverso: negava la collaborazione di classe, concepiva il rinnovamento sociale unicamente come portato d'uno sforzo violento, intransigente, integrale del proletariato contro la ferrea cornice della società borghese. L'evoluzione pacifica era per lui una furba invenzione della borghesia timorosa d'esser detronizzata.
      Cosicché se Pisacane diffidava, in terreno sociale, del pacifismo mazziniano, Mazzini, piú vecchio, e che conosceva da vicino la storia di molti estremisti, sinceramente credeva, a conti fatti, d'esser piú socialista lui, che da dieci anni additava ai lavoratori quel suo programma moderato e immediato, corrispondente alle loro effettive condizioni morali e materiali, che non il suo bollente amico e tutti gli apostoli del socialismo integrale, i quali, agitando miti estremisti e propinando assurde illusioni alle masse, le inducevano a perdere i concreti benefici dell'oggi per le nebulose fantasie del domani.
      Il dissenso era grave, ma forse sarebbe rimasto in sordina ove Mazzini non avesse, proprio nel '51, avvertito la necessità di reagire contro la moda del socialismo, imperversante sul continente.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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