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      Documento dunque, quel libro, di eccezionale valore, seppure piú psicologico che storico. Fra intese e malintesi, entusiasmi e depressioni, crisi di debolezza e parossismi di disperata energia, vi si disegna nettissimo uno dei piú tragici conflitti d'anime che sia dato ricostruire: dissonanza di strumenti uno per uno perfetti e purissimi, che non riuscivano a intonarsi a concerto.
      Colpisce a tutta prima il contrasto netto di tempra fra quelli che si possono dire i due protagonisti dell'epistolario: Pisacane e Fanelli.
      Fin dall'estate del '56 Pisacane, s'è detto, è doventato «l'uomo della spedizione», il massimo esponente delle speranze ad essa legate; tanto che mentre egli, modestamente, conta sempre su Garibaldi quale grande riserva da reclutarsi all'ultimo, Mazzini vuole invece che i napoletani guardino a lui con piena fiducia, non soltanto per la direzione dell'impresa, ma anche per eventuali altissimi incarichi post-rivoluzionari: cerca insomma, con ogni mezzo, di accreditare il «mito» di Pisacane.(221) Pisacane ne è degno: le sue lettere a Fanelli, precise, sicure, animatrici, denunziano infatti uno stato d'animo di perfetta calma interiore; egli ne balza fuori, se confrontato col Pisacane del primo periodo rivoluzionario, come piú maturo, piú solido, piú disinteressato; le sue vedute sono semplici e rettilinee, la volontà, meglio che ferrea, implacabile. «Se nessuno si muove?... Creperemo», scrive tranquillamente una volta.(222)
      Varia esperienza, molteplicità un po' dispersa d'interessi spirituali, certa saccente superficialità di cultura sembra che s'equilibrino, ora, nello sforzo, per confluire in quel solo fermissimo volere, tutto teso a uno scopo.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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