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      Nel frattempo, giunta a Genova notizia telegrafica dell'avvenuto sbarco, immantinente vi scoppierà, e scoppierà anche a Livorno, la sommossa da tempo disposta. La scintilla da Sapri si propagherà cosí nell'Italia settentrionale e centrale; e se non altro l'esser padroni di quei due porti metterà in grado gli amici di Pisacane di soccorrer d'urgenza la sua spedizione con l'invio, su navi requisite, di uomini, d'armi e di quant'altro mai possa occorrere.
      La cosa piú urgente dunque, verso la fine di aprile, è l'allacciare rapporti diretti con S. Stefano e con Ventotene: Fanelli, che è finalmente entrato in relazione con Ponza, a questo non è ancora riuscito; ed è abbastanza importante sapere se gli interessati gradiscono d'esser liberati e spediti in guerra contro Napoli! È Pisacane che si assume l'incarico: scrive a un Pisani in Ventotene, a Filippo Agresti in S. Stefano. Della prima lettera è notevole l'esordio drammaticamente conciso: «Amico. Noi siamo un'antica conoscenza, i vostri principî mi son noti, i miei sono anche noti a voi, ma io non vengo a discorrere di principî; da molti anni si discute e si ciancia, senza ottenere il minimo frutto. L'opinione pubblica europea che prima ci era favorevole, ora si rivolge contro di noi, vedendo che un popolo che si sopporta tale tirannia e non fa altro che svelarne le infamie al mondo per eccitarne la compassione come quei mendicanti che pongono in mostra le piaghe di cui è coverto il loro corpo è un popolo degradato. Noi sentiamo ogni giorno mormorare a voce sommessa siffatte ingiurie, premiamo l'affanno del cuore nella speranza di splendide condizioni.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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