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      — si riteneva proprio indispensabile, e allora che mai doveva pensarsi di quei preparativi? Il forzato rinvio, comunque, giungeva forse provvidenziale: già che occorreva ad ogni costo avvertire Fanelli, andasse Carlo in persona a Napoli, prendendo imbarco sul postale in partenza, e profittasse della gita per accertarsi della situazione effettiva. Troppo aveva detto e disdetto, promesso e ritirato il Fanelli: sí che soltanto dopo il controllo eseguito sul posto da Pisacane si sarebbe potuto risolvere in tutta coscienza se fosse il caso o meno di ripigliare il progetto.
      Animata dalla segreta, umana speranza che Pisacane tornasse da Napoli deluso e sfiduciato, persuaso cioè come lo era essa da tempo, e come egli stesso s'era mostrato in passato, che il forzare con imprese avventate la dura realtà del regime borbonico, resistente a ben altre scosse, sarebbe stata pura pazzia; allucinata dal ricordo anche recente dei tanti che, scambiando lo stato d'animo proprio con quello di tutto un popolo, si erano invano sacrificati, essa non esitò un istante a esporre il suo compagno al pericolo immediato, che pur non si dissimulava affatto, di cadere nelle mani della polizia napoletana: Pisacane era disertore dell'esercito borbonico! Gli è che essa non agiva soltanto per fini egoistici: al rischio, supposto inutile, di molti, preferiva malgrado tutto il rischio corso da un solo, fosse quest'uno il suo caro, il padre di sua figlia, la ragione stessa della sua vita.
      Senza indugio Pisacane accettò; e gli altri approvarono.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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