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      Cedere alle loro pretese di ammettere il grido di costituzione (perché l'avvenire è nostro) nel solo caso che da questo dipendesse il fare o il non fare immediato».
      Contemporaneamente, Pisacane informa Fabrizi: «Ho trovato una gran quantità di ottimi elementi; e piú di quelli che assicurava il coscienziosissimo Kilburn (nome di guerra usato da Fanelli); manca (come egli dice) un centro intorno a cui questi elementi indissolubilmente rannodarsi; ma non vi è mezzo per crearlo ed a questo male che dipende da esuberante individualità, non v'è che un solo rimedio: che il nostro operosissimo si tenga strettamente unito con costoro, e si accrediti presso di loro coi mezzi che noi dobbiamo fare ogni sforzo per fornirgli... Ed ora è d'uopo, che io e lui (Fanelli) prefiggendoci come scopo lo stabilito, pieghiamo come si dovrà alle circostanze».
      Fanelli subisce in pieno la suggestione ottimistica esercitata dal suo amico, e quella sorta di contagiosa serenità che ne emana si impadronisce di lui. Il 17 giugno, infatti, trasmettendo un biglietto di Pisacane — nel frattempo partito — assicura l'Agresti che dopo il disastro avvenuto «noi... non siamo men fermi nel nostro proponimento, e speriamo o col ripetere il progetto o con imprenderne qualche altro (che abbiamo pur da gran tempo ruminato e disposto) di venire sollecitamente allo scopo desiderato». Due giorni dopo, lettera a Pisacane: «...per carità, sbrigate l'opera vostra. I moderati ci stanno tendendo una contromina nella provincia. I murattisti si apparecchiano ad approfittare dell'opera nostra, bisognerà che agiamo di sorpresa.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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