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      Rivoluzione sociale, rivoluzione politica non son che vane parole se non presuppongono, se non si risolvono appunto in uno sforzo di liberazione interiore che muova dal basso, dal sottosuolo sociale, trovi espressione in élites rappresentative e si imponga come volontà di lottare. Per un rivoluzionario dello stampo di Pisacane il problema già tanto discusso dell'ordine di precedenza tra le due liberazioni, l'una dall'asservimento politico, l'altra da quella sociale, ha perso dunque ogni concreto interesse, poiché si tratta piuttosto di creare l'atmosfera favorevole ad entrambe, pregna d'intolleranza d'ogni giogo, satura di volontarismo, dinamica; di allenare frazioni sempre piú numerose della popolazione ad osare, a infranger barriere e divieti, a reclamare i diritti di libertà conculcati, ed anzi a conquistarseli con la violenza. Solo in un'atmosfera siffatta, solo partendo da queste premesse potranno gli italiani doventare un popolo libero. S'intende dunque come, per Pisacane, Sapri non costituisca che una delle tappe obbligate di questo itinerario, necessariamente assai lungo. E come ai sindacalisti rivoluzionari d'oggidí, tutti tesi verso il grande sussulto finale, riescono alquanto indifferenti le cause e le finalità contingenti dei singoli scioperi, cosí si spiega perché Pisacane assegni cosí scarsa importanza ai particolari d'esecuzione del suo progetto e perfino alle stesse probabilità maggiori o minori d'un suo successo. Gli «scioperanti» del Cagliari verranno aggrediti e sopraffatti dai «krumiri»? È ben possibile, è anzi assai verosimile; ma che importa?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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