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      Tredici giorni per ripensare le parole sottoscritte, valutare i pericoli dell'impegno assunto, ritrarsene, o guadagnarsi favori e compensi a mezzo di delazioni. Ma non fiatarono. Dei dodici firmatari, poi, tre furono uccisi, gli altri tutti, fatti prigionieri, intristirono a lungo nelle carceri borboniche. Che importa se, dopo mesi e mesi, fallito il grande disegno, alcuni di costoro, tra le gravi more del processone di Salerno, pensando alle famiglie lontane e in miseria, protestarono al giudice d'aver sempre ignorato lo scopo del viaggio? D'esser stati costretti, una volta attirati sul Cagliari, a eseguire nolenti gli ordini dei capi? Se uno affermò che gli s'era promesso, per indurlo a imbarcarsi, certo lavoro a Tunisi, e un altro che riteneva trattarsi d'una impresa di contrabbando? Troppo logico che ci si fosse accordati in anticipo perché i gregari, in caso d'insuccesso, venissero sollevati da qualunque responsabilità. Non altrimenti, del resto, si comportò il Danèri, cui convenne allora protestarsi innocente, e che solo piú tardi, caduto il Borbone, menò gran vanto del suo operato: i nove popolani superstiti, come accade, si tacquero, e nessuno per lunghissimi anni si ricordò in alcun modo di loro.(294)
     
      Sereni e animosi fino all'ultimo, gl'impresari della «pazza» impresa, Pisacane, Pilo, Nicotera; ma come materiata di dolore, quella serenità, e con quanta disperata energia conquistata! Il loro sorriso brillava tutto di lacrime.
      Pilo si era creato da tempo una famiglia illegale: la sua compagna, Rosetta, e un loro bambino.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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