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      Era fragile, appassionata, egoista, — donna! — questa Rosetta; e tratteneva, adesso, disperatamente il suo uomo. Già l'anno prima, quando Pilo era partito per la Sicilia, essa aveva giurato di uccidersi; e l'aveva torturato come solo la donna che ama sa fare: «Io per te ho rinunziato alla stima di tutti, perfino a quella di mio padre (aveva infatti abbandonato, per seguir lui, il marito che non aveva mai amato); e tu mi lasci per non rinunziare alla stima dei tuoi amici...!» Questa volta Pilo ha tentato di farle credere che parte per vendere un quadro di grande valore; Rosetta dubita, esige giuramenti solenni. Quando sa il vero, n'è come infranta. Il 6 giugno — prima partenza di Pilo —: «Questa tua partenza mi ucciderà, te lo giuro — gli scrive — ma tu lo vuoi, sia; comprendo bene che tu mi malediresti, se io ti trattenessi; ebbene, io ti lascio libero. Rosolino, tu mi hai giurato..., che la notte del 17 giugno 1857 sarai in Genova. Bada di non mancare; se no non troverai piú me in vita». — Il martirio ricomincia, dopo il 20 di giugno; Rosetta vorrebbe salpare con lui! Ma poi si rassegna: basta che Rosolino s'impegni a ritornare al piú presto «per pietà del mio stato, di me, della tua povera Rosetta, che muore di amore, di dolore per te, che t'ama, t'ama alla follia; che per te muore»; il cuore impazzito le detta infine parole tremende: «Dio non è né può essere con la tua causa. Dio non permette le guerre civili, nelle quali il fratello uccide il fratello» — e allude spietatamente alla circostanza che un fratello di Pilo, come il fratello di Pisacane, è un borbonico reazionario!


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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