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      Pochi comprendevano con lui di quanto questa circostanza attenuasse il valore del grande avvenimento, pochi sembravan disposti a seguirlo apertamente nella nuova campagna da lui iniziata perché almeno si compiesse fino in fondo il programma unitario, conquistando all'Italia Roma e la Venezia.
      Egli era pur sempre, nel 1861 come nel 1836, lo stesso Mazzini inviso ai governi, accanitamente denigrato, straniero in patria. Chi riconosceva i suoi meriti nella formazione del programma nazionale? Lo abbandonavano anche molti, fino allora suoi seguaci, che si lasciavano definitivamente attrarre nella sfera della monarchia, paghi dell'unità materiale, dimentichi che questa non ha alcun valore se non coincide o non è immediatamente seguita da un rinnovamento morale, religioso, sociale di tutto il paese; altri, attaccati alla lettera, ma incapaci di penetrare lo spirito della sua dottrina, deploravano la tregua da lui accordata, fino al 1866, alla monarchia perché compiesse, valendosi di tutte le forze, il programma unitario, e si chiudevano in una meschina intransigenza. La gioventú intellettuale si lasciava penetrare da un insieme di teorie e di tendenze, che egli chiamava materialismo e che, legate a tutto un movimento scientifico, la rendevano sempre piú indifferente all'essenza stessa del suo insegnamento, a quelle idee morali-religiose cioè, che dovevan compiere il miracolo di rinnovare l'umanità. Nel campo operaio, infine, mentre non era per anco cessata la lotta da lui impegnata per strappare il monopolio della organizzazione ai gruppi moderati e conservatori, un'altra se ne iniziava, ben piú pericolosa e incerta, contro i banditori di un programma diametralmente opposto al suo: quello dell'Associazione internazionale dei lavoratori.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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