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      Le moltitudini rurali italiane, avvilite da una miseria e da una ignoranza degradanti, non parteciparono in alcun modo agli sforzi per la unificazione nazionale, o se manifestarono in qualche caso i loro sentimenti, questi furono quasi ovunque e quasi sempre ostili alle «novità» volute dai «signori», richieste dalle città e imposte alle campagne.
      Segnatamente per la popolazione agricola del Mezzogiorno l'unificazione politica non significò, di mutato, che una dinastia nuova messa al posto delle antiche, uno sconvolgimento delle vecchie abitudini, l'introduzione di nuove tasse e l'inasprimento delle già esistenti, la coscrizione, fin allora ignota in gran parte d'Italia. Analfabeti e disperati, i contadini non potevano apprezzare i vantaggi d'ordine morale, i germi di rinnovamento, le speranze di un solido se pur lontano avvenire economico, che l'unità andava elaborando. Avvertivano solo le infauste ripercussioni immediate, che i mutamenti politici determinavano entro la cerchia dei loro ristretti interessi. Perciò, malcontento generale. E tendenza a lasciar sfruttare i loro rancori dai sostenitori dei cessati regimi in cerca di una larga base popolare ai loro programmi di restaurazione. I contadini meridionali furono i primi a reagire, col brigantaggio, alle novità politiche.
      I primi sintomi di una nuova vita nelle campagne, dopo la unificazione nazionale (sintomi che si andavano però manifestando e sviluppando con una straordinaria lentezza), furono avvertiti da Jacini; il quale notò - nel 1887 - come il nuovo regime politico incominciasse a scuotere l'apatia dei contadini.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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