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      Guadagnavano - intorno al 1860 - meno di L. 1,00 al giorno gli operai di alcune cartiere lombarde, i tessili non specializzati di alcune fabbriche lombarde e biellesi, gruppi di minatori in Sardegna. Da L. 1,00 a L. 1,50 (per non citare che qualche esempio) altre categorie di tessili nel nord d'Italia e a Napoli, i manovali muratori in Piemonte e in Lombardia, gli operai non specializzati delle officine ferroviarie, i nastrai e pellai di Milano, alcune categorie di operai zolfiferi in Romagna, ecc. Sono notizie che si ricavano di qua e di là, da piccole inchieste, dai registri di qualche fabbrica, dalle relazioni di qualche società operaia, dai giornali.
      Si trovano salari massimi (per operai specializzati) di L. 2,86 (industrie tessili), di L. 2,42 (industria edilizia), di L. 2,00 (industria della carta), di L. 3,39 (miniere), di L. 3,25 (arsenali), di L. 5,25 (officine ferroviarie). Ma è evidente che il salario minimo è quello percepito dalla maggioranza degli operai. La mia impressione (valga quel che valga) è che il salario medio degli operai intorno al 1861 oscilla fra L. 1,20 e L. 1,50(22).
      Ma quel che c'interessa non è il dato del salario nominale. Ci preme farci un'idea delle condizioni di vita della classe operaia. Di qui la necessità di estendere il nostro esame ai prezzi dei generi di consumo, o almeno (poiché difettano, al solito, per questo periodo, statistiche precise, che rilevino la media dei prezzi sul mercato italiano) del principale genere di consumo: il frumento.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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