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      Non bisogna poi dimenticare l'elevatissimo numero di donne impiegate nell'industria. Pietro Ellena accertava nel 1875 che nelle industrie seriche, su 200393 operai, si contava il 60,10% di donne; nelle industrie laniere su 24930 il 31,15%; nelle industrie del cotone su 54041, il 50,53%; nelle industrie della carta su 17318, il 41,27%(27).
      Nel '62 troviamo donne che lavorano 10, 11, 12 ore con salari di 50, 60, 70 centesimi al giorno; massimo, in pochissimi casi raggiunto, L. 1,20, 1,25.
      Grandi masse di fanciulli d'ambo i sessi erano impiegati nelle fabbriche, nelle miniere, ovunque, senza alcun controllo, senza alcuna protezione legislativa. Sfruttati come uomini adulti e pagati in modo irrisorio.
     
      Di queste condizioni culturali ed economiche delle nostre classi operaie intorno al '60 - qui di necessità solo per sommi capi accennate - non può non tener conto chi studia le prime fasi del movimento operaio italiano; solo la conoscenza di quelle condizioni può spiegare perché mai esso, paragonato con i contemporanei movimenti operai di quasi tutti gli altri Stati d'Europa, appaia tanto piú fiacco, immaturo, incerto e disunito.
      La organizzazione operaia non sorge e non si consolida, o almeno sorge e si sviluppa stentatamente là dove manchi un certo grado di benessere materiale, oltre che di maturità intellettuale delle classi lavoratrici. Gli operai analfabeti affidano in assai piú larga proporzione che non i loro compagni dotati di un certo grado d'istruzione la direzione programmatica e pratica della organizzazione a elementi provenienti da altri ceti sociali, i quali quasi sempre, consci o inconsci, perseguono fini diversi da quelli ai quali la massa organizzata mirerebbe, se sapesse e potesse muoversi secondo i suoi soli istinti.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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