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      Ai quali, molto probabilmente, davan noia le considerazioni religioso-morali che v'eran premesse, in quanto avrebbero potuto allontanare molti preziosi elementi, concordi nel volere l'emancipazione operaia, e non per questo disposti a trangugiare formole religiose.
      Ond'è che ricorsero ad altri lumi. Cattaneo, per via dell'incarico affidatogli dal Congresso di Parma, era già allora entrato in relazione con alcuni dirigenti del movimento operaio fiorentino. Questi gli avevano sottoposto lo statuto della Fratellanza artigiana (che mirava, come si ricorderà, a estendersi in tutta Italia), pregandolo di darne un giudizio. Era quello statuto stesso che Mazzini, a suo tempo, aveva elogiato e al quale si era, in sostanza, ispirato per il suo progetto.
      Cattaneo aveva risposto franco e senza cerimonie, criticando con la consueta acutezza il documento. Aveva detto(175): «Mi sembraste piú solleciti di costruire un grande edificio unitario e uniforme, che non di chiamare l'artigiano a libera vita propria. Non so perché debba dipendere dal nominale beneplacito di centoventimila soci(176), sparsi in centomila miglia di paese, ogni minima riforma nel regolamento d'una trentina d'operai che col risparmio di tre o quattro centesimi al giorno vogliono prestarsi mutuo soccorso... Vedo soverchio apparato: maestri dell'arte, maestri del Comune, grandi maestri, priori, primati, decurioni, centurioni, censori, triumviri, direttori, sotto-direttori, delegati... Uno dei primi articoli dello statuto prescrive ai soci come condizione d'ingresso che esercitino arte o industria.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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