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      Fu questo il tragico destino di Mazzini: costretto, negli ultimi mesi della sua vita, quando cioè agli altri uomini si concede il riposo e il pacato ricordo del passato, a romperla con la frazione piú giovanile e piú attiva del suo partito.
      Era il fiore del suo esercito che disertava: chi avrebbe seguitato il suo lungo cammino, chi compiuto il programma, chi tenuta salda la compagine fra i vari elementi della sua dottrina e principalmente la indispensabile coesione tra il progresso materiale e quello morale, tra esigenze dello spirito e esigenze della vita, al cui raggiungimento si erano volte tutte le sue energie migliori? Crollava ogni speranza e l'avvenire si oscurava; non mai l'attuazione del suo programma morale, politico e sociale gli era apparsa cosí lontana e improbabile come al chiudersi della sua vita: nuove formidabili incognite si erano quasi improvvisamente presentate a render ardua la soluzione del problema.
      Che sarebbe rimasto di lui, dopo la sua scomparsa? L'Italia era unita, sí, ma il popolo seguiva la falsa via; egli tramontava senza avere il conforto di scorgere nei solchi della vita italiana alcun germoglio promettente del seme gettato.
      La sua eredità morale toccava a un partito numericamente ancor forte, ma roso da dissensi di principî e di persone, povero di anime: pochi afferravano l'unità del suo sistema. E Mazzini sapeva quanto ancora il solo fatto della sua presenza servisse a mantenere insieme le dissidenti frazioni; ma quando egli non fosse piú là, alto su tutti, a vegliare, che cosa sarebbe avvenuto?


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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