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      Ma se in alcuni dei patrioti questa delusione e il disgusto che ne derivò superarono ogni altra impressione e vietarono ogni speranza superstite, generandosi una diffidenza invincibile per la «perfida Albione», in molti altri andò radicandosi invece la consolante opinione che l'Inghilterra medesima fosse stata tradita, e sorpresa la sua buona fede, e che le fosse stato forza piegarsi, suo malgrado, ai superiori interessi della coalizione europea; e che perciò, negli anni avvenire, l'Inghilterra non avrebbe lasciato mezzo intentato per favorire in Italia l'affermazione, lo sviluppo e il trionfo finale delle idealità liberali e nazionali.
      Del radicarsi di tali aspettazioni e, per converso, di tali risentimenti, anche la tarda diplomazia inglese non poteva mancare di accorgersi e di farne il suo conto; e in quanto non conveniva in alcun modo scoraggiare una fiducia che era pur sempre «una carta in mano» e che nell'avvenire avrebbe potuto dare i suoi frutti, e in quanto premeva, d'altra parte, anche ai piú modesti fini di una ripresa e di un incremento del traffico commerciale, di dissipare quei risentimenti. In questo senso si può anche dire che l'eredità di quegli anni di crisi europea pesò sugli svolgimenti ulteriori della politica inglese in Italia, e in parte ne influenzò le movenze, e in qualche caso perfino giunse a forzarne il ritmo, il corso e gli obiettivi.
      Ma, in tesi generale, se l'Inghilterra si era già affermata nella seconda metà del secolo XVIII come la potenza piú interessata al mantenimento dello status quo mediterraneo, si deve dire che l'esperienza napoleonica valse soltanto a trasformare questa sua esigenza in un inderogabile dogma.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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