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      Restano, una volta rimosse le vaghe inquietudini per le non chiare tendenze della politica russa in Italia (ciò che si verifica tra il 1819 e il 1820), le preoccupazioni costanti per la politica francese: alle quali il Foreign Office reagisce secondo le direttive tradizionali, seppure il suo giuoco si faccia piú scaltro e affinato. In questo senso non sarebbe forse avventato considerare come un successo, e quasi un capolavoro della diplomazia inglese, la spedizione francese di Ancona nel '32. Sul momento, invero, ben pochi intuirono quale interesse potesse mai spingere il Foreign Office a lasciar siffattamente mano libera alla Francia: non era un canone della politica inglese quello di non consentire in alcun caso un insediamento francese in Italia? Ci si attese a uno sbarco inglese a Civitavecchia, si fantasticò di un preteso piano rivoluzionario franco-inglese. Non fu che parecchio tempo piú tardi che i piú si resero conto dei riposti motivi di quella strana e inusata passività inglese: quando cioè poterono considerare la profonda impopolarità che da quella spedizione era derivata alla monarchia di luglio in Italia, ed anzi alla vera e propria distruzione del «mito» francese che essa aveva operato fra noi. Entro certi limiti, si potrebbe dire altrettanto per la seconda spedizione francese negli Stati romani, nel '49, sebbene opposto in apparenza ne fosse l'oggetto. Ché se ci si obiettasse che in realtà il merito del finale insuccesso francese (se merito fu) risale piuttosto, nell'uno e nell'altro caso, al ministero degli esteri austriaco, risponderemo che, a parte la conservazione dello status quo italiano, che ne usciva profondamente turbato, quelle due spedizioni, attraverso l'occupazione di due vitali punti strategici nell'Adriatico e nel Tirreno, venivano a modificare altresí l'intero equilibrio mediterraneo: un fatto, questo, relativamente al quale l'Inghilterra non poteva certo contentarsi dei sottili affidamenti dell'Austria, potenza quasi esclusivamente terrestre, ma le bisognava regolarsi da sé, consultando soltanto i suoi propri interessi.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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