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      Il caso del 1859, del resto, può prestarsi, come vedremo, ad analoghe considerazioni.
      Insomma, è pur sempre il timore di una durevole espansione della Francia in Italia, o anche soltanto di un considerevole aumento della sua influenza fra noi, che, unitamente alla non mai trascurata considerazione dei suoi interessi commerciali, ci dà la chiave della politica inglese nella penisola, dal 1815 in poi. Le conferme, o le prove, non mancano, e sono nella mente di ognuno. Crisi del 1820-1821: l'Inghilterra, seppure non si assenti del tutto dalla trattazione degli affari italiani, ed anzi si esprima e si muova, in quella occasione, secondo schemi suoi propri, sforzandosi di pacificare l'Italia mercé misure di conciliazione soltanto, ed enunciando la tesi del non intervento, dopo tutto lascia mano libera all'Austria. Perché? Perché l'assiste la sicurezza che la Francia non si muoverà; perché di fronte agli Stati italiani in subbuglio non si erge che l'Austria. I suoi interventi effettivi, risoluti e diretti, l'Inghilterra li riserba per quando si profili il pericolo di una complicazione francese. 1830: rivoluzione di luglio: minaccia grave, nei mesi seguenti, di una discesa francese contro gli austro-sabaudi sul Po; il Foreign Office agisce prontamente ed energicamente a Parigi, a Vienna, a Torino, e ad esso si deve, o massimamente si deve, se la pace d'Europa è salvata. 1831-32: crisi romana: l'Inghilterra, dopo aver lasciato impegnare la Francia, non esita a varcare ufficialmente la soglia del Vaticano e si fa centro di un'azione diplomatica volta alla trasformazione del governo papale; comunque, contribuisce efficacemente a risolvere per vie pacifiche la pericolosa vertenza austro-franco-romana.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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