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      Il quale, per quanto tenuto a stecchetto da casa, assapora con delizia la vita studentesca, con quel che essa comporta - e piú comportava allora, in una città come Pisa - di scioperato, di senza pensieri, di baldanzoso fino a credersi, i sapientoni, i padroni del mondo, in genere, e in ispecie della città e delle sue bellezze, non solamente quelle di marmo. La precocità di Beppe nella musica e nella poesia (con quanta facilità non gli vien fatto di sciorinare versi, o sia per solennizzare, su commissione, una ricorrenza sacra, o sia per altri piú futili motivi!) lo rendono uno dei compagni piú ricercati. Ma gli slanci romantici, e i romantici pudori, che se non fossero in lui connaturali, basterebbero a instillargli le gran letture che fa e il malioso mito romantico che tuttora perdura a Pisa di uno Shelley e di un Byron, stati a lungo a poetare su quei Lungarni e a riempir di stupore e di fragore e di scandali le quiete vie della città, fan sí che Beppe s'accosti e s'accomuni piú volentieri con quelli tra i condiscepoli cui la gaia vita della Sapienza è, come per lui, non altro che un mezzo per meglio vibrare e conoscere e amare, e non già mero sbrigliamento dei sensi e occasione per quotidiane bisbocce.
      Che gl'ispirava la musa? Fin dal 1827 - non aveva che quattordici anni - tre delle sue poesie molto immeritatamente salivano agli onori della pubblica stampa: Per S>. Omobono; Conversione di S. Ranieri; L'Annunciazione di Maria Vergine. Sapevano, a dir il vero, un po' troppo di sacrestia, e per fortuna altre corde sostituirono presto, sulla sua lira, quella chiesastica:


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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