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      Scorgeva in lui il rinnovatore della filosofia italiana, il genio vivificatore che dominava le scienze le piú disparate e ne illuminava i nessi e i rapporti reciproci, la mente somma che con la ragione aveva superato, non bestemmiato, la fede(104). Gli si metteva alle costole per intere giornate - sdegnando gli ammonimenti degli zii canonici che lo avevano in sospetto di ateismo - e, alla lettera, pendeva dalle sue labbra. Correvano quasi vent'anni fra loro; pure il Centofanti non sgradiva affatto la compagnia del ragazzo, che capiva a volo anche le astruserie e che, d'ingegno precoce, ma duttile e influenzabile quanto si può esserlo a quell'età, prometteva di diventare piú ancora che un valido araldo dei suoi sistemi filosofici, addirittura come figlio suo spirituale, un'opera sua, e magari un capo d'opera. Centofanti parlava tutto il tempo, e di tutto: a un tratto, passeggiando, si arrestava di colpo, e imponendo silenzio al discepolo: - Zitto - gli diceva - mi passa un pensiero filosofico... sorprendo la natura nell'atto... un giorno sentirai il mio nome ripeterlo da tutti gli echi del mondo... Io sono il Napoleone del pensiero -. Bum! Senonché l'implume Montanelli, sprovvisto ancora del vivo senso dello humour, invece di sbottare in una risata omerica, compreso di ammirazione obbediva, pago, e anzi orgoglioso di assistere in tutta umiltà alla misteriosa genesi dell'Idea. E non pure ascoltava reverente e commosso, ma si prestava in mille modi a facilitare il geniale lavoro del suo «maestro»: procurandogli libri, copiandogli manoscritti ed anche scrivendo dietro dettatura(105).


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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