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      L'esempio del Centofanti, le immense soddisfazioni interiori che costui ricavava o pareva ricavare dalla sua applicazione, e che si traducevano in quella tranquilla, incrollabile sicurezza della sua superiorità, persuasero il Montanelli a gettarsi a capofitto, sotto la guida di lui, negli studi di filosofia. Legge? Medicina? Musica? Poesia? Bazzeccole, minuscole sfaccettature d'un prisma che solo la filosofia poteva abbracciare nel suo insieme, come altresí scomporre e ricomporre. La religione? Un'impostura per i poveri di spirito: o una giustificazione per i pigri di mente. Cosí, fra i tredici e i sedici anni, piú che alla Sapienza di Pisa il Montanelli fu a scuola da quella, non meno enciclopedica, gli pareva, e senza dubbio piú unitaria, del Centofanti.
      Principiò col D'Alembert, introduzione, appunto, alla Enciclopedia, e poi giú a tutto spiano, illuministi e sensisti, Volney e d'Holbach, il nuovo verbo. Destino consueto degli ex seminaristi e dei nipoti di canonici.
      Non ci voleva un gran che a levare dalla testa una religione che non era nel cuore e che quantunque si chiamasse cristiana, aveva a che fare col cristianesimo precisamente quanto il paganesimocosí il Montanelli nelle Memorie, rievocando la sua adolescenza;
      religione tutta di pratiche esterne, di genuflessioni alle immagini, di scappellature ai preti, di rosari, di messe, di vespri, di viacrucis, religione che identificava con tutti i ricordi di tedio e d'oppressione domestica, subita da noi fanciulli in quel barbaro sistema d'educazione pretesca vigente nei nostri collegi e nelle famiglie dette religiose.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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