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      (199). Si trovavano costoro ad Acqui, ordinati (per usare un'espressione eufemistica) nel corpo dei Cacciatori degli Appennini, sotto il comando dapprima di Girolamo Ulloa, intimo amico del Montanelli, quindi del Boldoni(200): fra di essi il Montanelli prendeva il suo rango come semplice milite, rifiutando la nomina a sottotenente(201); era un suo vecchio principio quello che la responsabilità del comando spettasse esclusivamente agli esperti, e non mai agli ufficiali improvvisati.
      Qual era allora il suo punto di vista sulla situazione politica e in particolare sulle sorti della Toscana «protetta» dal re sabaudo? Egli partiva dalla premessa, ovvia a quei giorni, esser la Francia arbitra assoluta dei destini d'Italia; occorrer quindi non contrastare apertamente il programma imperiale, notoriamente mirante ad assicurare l'indipendenza alla penisola sulla base di una costituzione federale. Soprattutto premeva che sui primordi del conflitto non venissero sollevate discussioni e questioni concernenti il problema dinastico in Toscana, atte a smorzare lo slancio guerresco dell'imperatore, con l'insinuargli dei dubbi circa possibili deviazioni del governo di Torino dal piano concertato a Plombières.
      Nel primo periodo della guerra dell'indipendenza, dalla scesa dei francesi in Italia fino all'entrata loro in Milano - preciserà piú tardi lo stesso Montanelli(202) - mi parve inopportuno ogni movimento il quale accennasse alla formazione d'un solo Stato italiano retto da Vittorio Emanuele: ciò per due precipue ragioni.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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