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      Era, questa, una censura al governo di Firenze che, mentre aveva sollecitato il presidio delle truppe francesi, non sapeva fare un esercito della gioventú toscana? Senza dubbio lo era, seppure il Montanelli non la esprimesse che sotto la forma di un incitamento per l'avvenire; e come tale Il ventinove maggio non era destinato di certo ad aumentare la già scossa popolarità da lui goduta in patria. Ma a noi quel suo scritto interessa in special modo in quanto ci fornisce la prova indiscutibile che, anche dopo il colloquio con l'imperatore, il Montanelli non altro aveva in mente, appunto, che la sorte della guerra e l'avvenire unitario d'Italia: l'antico banditore della Costituente, infatti andava giornalmente cedendo all'elettrizzante contagio monarchico, che si sprigionava, vorremmo dire, dai campi lombardi.
      L'idea dell'indipendenza - scriveva egli in quegli stessi giorni a un amico - signoreggia tutte le altre: e perché a capo dell'indipendenza sono un imperatore e un re, sarebbe considerato come partigiano dell'Austria chiunque recasse nel moto attuale idee politiche contrarie all'autorità regia ed imperiale. Si è tanto detto che l'Italia s'è perduta per discordie e indisciplina, che ciascuno si fa come scrupolo di divenire causa di dissenzione o di scandalo(220).
      Palestro, 31 maggio; Magenta, 4 giugno; le porte di Milano si aprono al vittorioso esercito franco-sardo. Qual fremito di ricordi per chi, ora per ora, aveva vissuto, undici anni prima, autentico combattente, la tragedia lombarda!


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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