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      Forse anche questi stessi sono stati ascoltati da chi è al potere costà, e che sarà rimasto ingannato dalle fandonie che avranno raccontato»(247). Alle quali informazioni, e alle vive sollecitazioni perché l'Aquarone ed altri agitatori della sua risma venissero immediatamente richiamati in Piemonte, il Cambray-Digny per parte sua rispondeva, il 18: «Pur troppo credo che l'agitazione nuova per la fusione non parta da Torino, ma finora da Acqui, ora da Piacenza (e cioè dal Montanelli, che - come vedremo - si era trasferito intanto, con i Cacciatori, in quest'ultima città, subito dopo lo sgombro austriaco). E credo che si faccia direttamente spendendo il nome del Cavour». Egli, per altro, poteva in coscienza attestare che il Cavour non c'entrava per nulla, che anzi deplorava del pari e le imprudenti manifestazioni annessionistiche del governo di Firenze, e quei pericolosi pronunciamenti unitari(248). Ma il Nocchi, segretario del Ridolfi, di rimando (20 giugno):
      Insisti sul fatto che Malenchini(249) e Montanelli hanno ingiustamente e per passione svisato le cose nostre, e mandato da loro, contro un governo piemontese (e intendeva il governo toscano invigilato dal Boncompagni), il piemontese Aquarone, che, con un indirizzo e mene tendenti ad agitare il paese contro il governo, è venuto credendo di trovare tutti contrari alla fusione..., e ha spacciato ripetutamente di venire a nome e per commissione di Cavour. Mostra la convenienza di far cessare, potendo, queste mene(250).
      La quali «mene», ripetiamo, ponevano il gabinetto ricasoliano nel piú crudele imbarazzo.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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