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      Sarebbe spettato, dunque, al governo toscano di esigere da lui, nel caso, una preventiva professione di fede in tutto conforme alle sue direttive: non si era dato tanto addosso al Montanelli, a Firenze, per la missione Aquarone e per le pretese sue mene in favore del principe Napoleone? È il Bianchi stesso, invece, che ci assicura, non senza nostra legittima meraviglia, che «il governo della Toscana accettò le proposizioni del Montanelli e m'incaricò di trattare per l'assegnamento». Strano che un incarico di tanta fiducia si assegnasse ad un... avversario politico! Nuova riprova del grave (seppure comprensibilissimo) smarrimento che colpí il governo di Firenze nei giorni immediatamente seguenti all'armistizio: allorquando, diciamolo pure, alle speranze annessionistiche si temette di dover ormai rinunziare.
      Ma c'è di piú: incaricato di trattare col Montanelli per l'assegnamento, il Bianchi a sua volta aveva delegato l'incarico al «comune amico avvocato Menichetti», del quale vedemmo già, piú sopra, la lettera 8 luglio al Montanelli. Era costui, quel che si dice una «creatura» del Montanelli stesso; ma nel '59 egli era diventato un pezzo grosso, a Palazzo Vecchio! Esponente della Società Nazionale, già commissario governativo in provincia, ben presto redattore della «Nazione», poteva definirsi un fiduciario del governo toscano. Ebbene, in che senso si esprimeva allora costui nelle sue trattative col Montanelli? Leggiamo un'altra sua lettera del 18 luglio:
      Di fusione si capisce che non è a parlarsi - scriveva -: pure forse non sarà male esprimere questo voto.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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