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      Questo era e restava, del suo programma immediato, il punto essenziale; mentre era di secondaria importanza - una volta escluso il pericolo di un ritorno dei Lorena - la questione a qual principe affidare, sempre nel nome di re Vittorio, l'ufficio. Le sue personali preferenze, già si è visto, cadevano sul principe Napoleone, simbolo vivente della indispensabile alleanza italo-francese; ma il Montanelli non s'impegnava sul nome suo, come s'impegnava invece, aperto e risoluto, sulla questione della provvisoria autonomia dell'Italia centrale(359); e ne abbiamo la riprova nel coscienzioso voto da lui dato, nella seduta dell'assemblea del 9 novembre, al progetto di reggenza di Eugenio di Carignano(360).
      Tale era allora e tale in sostanza rimase, checché pretendessero in contrario i suoi detrattori, il suo punto di vista sulla questione toscana(361). Solo si deve aggiungere come a radicarlo in quella opinione contribuisse essenzialmente una constatazione che al suo cuore di soldato dell'indipendenza dovette riuscire particolarmente penosa: quella cioè che i suoi concittadini non sembravano invero troppo disposti ad affrontate virilmente i rischi, anche di guerra, che da una proclamazione annessionistica fatta contro la volontà della Francia, avrebbero potuto derivare, ed anzi sarebbero derivati con tutta probabilità. Garibaldi, sí, giungeva in Toscana (per venire, del resto, di lí a poco, sostituito dal Fanti nel comando in capo degli eserciti collegati) e la lega militare era, sulla carta, conclusa; ma che perciò? Né il popolo toscano si mostrava, allora, risoluto a difendere a qualunque costo e contro chiunque la sua libertà, né il suo governo, conveniamone, andava apprestando con la dovuta sollecitudine i mezzi per rendere possibile, in qualunque evenienza, quella difesa.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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