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      In cosí fatte circostanze - osservava il Montanelli - l'attentarsi a sfidare, con la Francia, l'Europa tutta sarebbe stato un gesto sublime, ma inutilmente temerario: giacché, per quanto ingrossato dai contingenti dei volontari, per quanto valorosissimo, l'esercito sardo non avrebbe potuto di certo resistere contro eventuali interventi offensivi di una o di entrambe le potenze firmatarie dei patti di Villafranca(362).
      Ma torniamo all'assemblea toscana; della quale non importa davvero di ricordare in questa sede, come il 16 agosto procedesse unanime alla votazione della proposta Ginori proclamante la decadenza definitiva della dinastia lorenese. Forse non furono molti i deputati che, in quella solenne occasione, sentirono, come il Montanelli sentí, di compiere un sacro dovere: giacché pochi avevano, come lui, lealmente servito il granduca, e sinceramente sperato di farne un principe italiano; pochi, come lui, erano stati in grado di valutare tutta l'irrimediabile sua inadeguatezza di fronte all'alta missione assegnatagli; pochi, come lui, avevano, finalmente, dal 6 febbraio del '49 in poi, realizzata l'assoluta incompatibilità e di quel principe e in genere di tutta la sua casata con la resurrezione italiana. Per breve ora, dunque, il Montanelli provava l'ebbrezza, solitamente negata agli spiriti piú alti, dell'unanime consentimento. Per breve ora: ché già fino dal 13 agosto egli aveva creduto di doversi opporre alla votazione della proposta Romanelli per una mozione di plauso al governo in carica ed al cessato governo provvisorio(363); e quello stesso 16 agosto non aveva potuto nascondere la sua contrarietà a che la proposta Mansi e Massei per l'annessione della Toscana al Piemonte venisse rinviata agli uffici.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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