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      Garibaldi essendo dunque il duce della democrazia italiana (tot capita tot sententiæ) volle tentare il pateracchio fra le due ali estreme. E nel novembre del 1872, in un congresso torre di Babele fece varare un mastodontico Patto di Roma, che avrebbe dovuto essere il loro minimo denominatore comune. Questo Patto è senza dubbio un documento di notevole interesse; programma d'azione di quella democrazia repubblicana che trovava ridicolo ormai il voto di castità politica degli intransigenti, ebbe un solo difetto: che ai filo-socialisti parve troppo blando e reticente; ai mazziniani - che si dilettavano a declinare candidamente passato presente futuro del verbo insorgere - e agli antisocialisti arrabbiati in genere, troppo acceso; ci si accennava nientedimeno che alla repubblica sociale e al lavoro come unica sorgente della proprietà. Il pateracchio andò a monte; e invece di confusionismo, portò alla democrazia repubblicana: almeno per allora, distinzione netta. Distinzione cioè fra quattro gruppi: 1) mazziniani puri (giornalismo un po' educativo e un po' barricadiero; comizi e comizi; sindacalismo operaio; antiparlamentarismo); 2) repubblicani transigenti, alla Bertani (partecipazione alla lotta politica, rinvio sine die dell'attuazione del programma integrale); 3) repubblicani alla Alberto Mario (voto di castità, ma interessamento vivissimo alla politica; ottimi giornali, e idee chiare in testa); 4) repubblicani alla Garibaldi (filo-socialismo, confusione).
      La storia delle relazioni fra socialisti e repubblicani negli ultimi trent'anni del secolo XIX è la storia dell'alterno prevalere, nella democrazia di sinistra, della prima, della seconda o dell'ultima di queste frazioni.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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